Foto dal "Congresso dei Disegnatori"
presso L'Istituto Svizzero di Roma e ESC
Giugno-Luglio 2012
Pictures from the "Draftmen's Congress"
at Istituto Svizzero di Roma and ESC
June-July 2012
“di Segni e Fotografie”
“Secondo molti storici e specialisti, la fotografia ha fatto il suo
ingresso tra le arti plastiche nel corso degli anni sessanta o settanta, i
primo luogo come documento visivo di realizzazioni o eventi che non potevano
essere esposti direttamente […] Negli anni ottanta, la fotografia entra
direttamente nelle gallerie, con immagini considerate opere d’arte a tutti gli
effetti e non più solo documenti o elementi di supporto. Sicché, a questo
punto, si apre una dicotomia tra gli artisti che fanno ricorso alla fotografia
e i fotografi puri”( Denis Riout)[1]
La riflessione di Riout circa il rapporto tra fotografia e contesti
artistici, e in particolare il nodo centrale della dicotomia tra “artisti” e
“fotografi puri”, rappresentano un significativo
punto di partenza per la mia esperienza con il Congresso dei Disegnatori.
Questa dicotomia, infatti, è espressione del dualismo intrinseco alle immagini
fotografiche stesse: da un lato tracce del mondo reale e dunque documenti visivi; dall’altro immagini dotate di una
loro autonomia estetica che ne legittima il valore artistico: “Esse
appartengono a due ambiti culturali distinti, presuppongono attese diverse da
parte dello spettatore e veicolano due diversi tipi di sapere […] in quanto rappresentazioni,
operano in due spazi discorsivi distinti” ( Rosalind Krauss )[2]
La documentazione di eventi artistici, e la partecipazione della fotografia
ad essi, può essere dunque il contesto in cui questa ambivalenza può risolversi
compiutamente in una sovrapposizione dei due “spazi discorsivi”. Questo
processo trova, a mio avviso, un territorio ideale proprio nel Congresso
dei Disegnatori: Pavel Althamer ha infatti dato vita ad “ uno spazio politico
dove esplorare gli effetti dell’arte nella società […]. Ognuno è invitato a
partecipare alla discussione , a rispondere liberamente a questioni attuali
legate alla politica, ai simboli del potere, alla crisi economica ed altro […]
l’uso del linguaggio visuale è democratizzato in una conversazione collettiva
che solo in apparenza potrà essere percepita come una mostra”[3].
Anche l’opera dei partecipanti al Congresso, quindi, è caratterizzata da un
dualismo intrinseco analogo a quello della pratica fotografica, dato che questi
disegni appartengono proprio ai due spazi discorsivi a cui fa riferimento
Rosalind Krauss: quello della traccia visiva della realtà, anche politica e
sociale, e quello dell’espressione artistica “autonoma”.
Questi segni sono quindi parole e frasi di una conversazione collettiva interna al
Congresso, ma anche oggetto di quella che intercorre tra l’evento artistico e
il potenziale ruolo della fotografia rispetto ad esso, come strumento ideale
non solo per fissarlo e prolungarlo nel tempo, perché finalizzato alla
produzione di documenti, ma anche per amplificarne e condividerne le tematiche
di fondo, dando vita ad opere d’arte indipendenti
Giorgio Coen Cagli