Le foto realizzate quest'estate al Congresso dei Disegnatori sono in mostra
a Roma presso ESC-Atelier Autogestito, via dei Volsci 159
Per date e orari di apertura potete visitare la
pagina facebook di ESC
o contattare direttamente l'autore
gcoencagli@hotmail.com-3387937385
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Qui una piccola anticipazione delle foto e il testo che accompagna la mostra
“di Segni e Fotografie”
“Secondo molti storici e specialisti, la fotografia ha fatto
il suo ingresso tra le arti plastiche nel corso degli anni sessanta o settanta,
i primo luogo come documento visivo di realizzazioni o eventi che non potevano
essere esposti direttamente […] Negli anni ottanta, la fotografia entra
direttamente nelle gallerie, con immagini considerate opere d’arte a tutti gli
effetti e non più solo documenti o elementi di supporto. Sicché, a questo
punto, si apre una dicotomia tra gli artisti che fanno ricorso alla fotografia
e i fotografi puri”( Denis Riout)[1]
La riflessione di Riout
circa il rapporto tra fotografia e contesti artistici, e in particolare
il nodo centrale della dicotomia tra “artisti” e “fotografi puri”, rappresentano un significativo punto di
partenza per la mia esperienza con il Congresso dei Disegnatori. Questa
dicotomia, infatti, è espressione del dualismo intrinseco alle immagini fotografiche
stesse: da un lato tracce del mondo reale e dunque documenti visivi; dall’altro immagini dotate di una loro autonomia
estetica che ne legittima il valore artistico: “Esse appartengono a due ambiti
culturali distinti, presuppongono attese diverse da parte dello spettatore e
veicolano due diversi tipi di sapere […] in quanto rappresentazioni, operano in
due spazi discorsivi distinti” (
Rosalind Krauss )[2]
La documentazione di eventi artistici, e la partecipazione
della fotografia ad essi, può essere dunque il contesto in cui questa
ambivalenza può risolversi compiutamente
in una sovrapposizione dei due “spazi discorsivi”. Questo processo trova, a mio avviso, un territorio ideale proprio
nel Congresso dei Disegnatori: Pavel Althamer ha infatti dato vita ad “ uno
spazio politico dove esplorare gli effetti dell’arte nella società […]. Ognuno
è invitato a partecipare alla discussione , a rispondere liberamente a
questioni attuali legate alla politica, ai simboli del potere, alla crisi
economica ed altro […] l’uso del linguaggio visuale è democratizzato in una
conversazione collettiva che solo in apparenza potrà essere percepita come una
mostra”[3].
Anche l’opera dei partecipanti al Congresso, quindi, è caratterizzata da un
dualismo intrinseco analogo a quello della pratica fotografica, dato che questi
disegni appartengono proprio ai due spazi discorsivi a cui fa riferimento
Rosalind Krauss: quello della traccia visiva della realtà, anche politica e
sociale, e quello dell’espressione
artistica “autonoma”.
Questi segni sono
quindi parole e frasi di una conversazione collettiva interna al Congresso, ma
anche oggetto di quella che intercorre tra l’evento artistico e il potenziale
ruolo della fotografia rispetto ad esso, come strumento ideale non solo per
fissarlo e prolungarlo nel tempo, perché finalizzato alla produzione di
documenti, ma anche per amplificarne e condividerne le tematiche di fondo,
dando vita ad opere d’arte indipendenti
Giorgio Coen Cagli
[1] Denis
Riout, “L’arte del ventesimo secolo”, Editions
Gallimard, Paris, 2000
[2] Rosalind Krauss, “Teoria e storia della
fotografia”, Editions Macula, Paris, 1990
[3] Dal sito di Solidarity Action, www.solidarityaction.istitutosvizzero.it
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